Centri per l'Impiego. Così non servono a niente

di Euroroma 03/02/2014 ECONOMIA E WELFARE
img

Con le molte riforme approvate, mai realizzate fino in fondo, dell’amministrazione periferica che hanno visto trasformare i compiti delle province, di cui tra l’altro da due anni non si capisce se continueranno ad esistere oppure no in clima di spending review, vi era quella di delegare ad esse il complesso ambito del mercato del lavoro. Così dal vecchio sistema del collocamento pubblico, dopo la Legge Bassanini si passò ai Centri per l’Impiego, gestiti proprio dalle tanto bistrattate province che nel frattempo hanno visto aumentare da parte dello Stato le deleghe su importanti questioni ma, paradossalmente, assistere al crollo dei finanziamenti ricevuti per far fronte a tali compiti.

Negli ultimi mesi qualcuno, in pochissimi tra i politici, in pochi tra i sindacati o tra gli stessi funzionari dei Centri, si sta rendendo conto che i suddetti, dopo un periodo iniziale di discreti risultati, non riescono più ad ottemperare allo scopo per il quale sono state pensati, ossia a far incontrare la richiesta con l’offerta di lavoro. Basta chiedere ai molti disoccupati che vi si rivolgono in tutta Italia per sentirsi rispondere che in anni di iscrizione, obbligatoria per sperare di poter ricevere una chiamata, non sono mai stati contatti dagli uffici né aggiornati su corsi, seminari, e su quanto promesso al momento dell’iscrizione.

Uno dei miglioramenti che avrebbero dovuto portare tali Centri doveva essere l’eliminazione di code, fila, estenuanti e indefinibili tempi di attesa prima di essere accolti, ascoltati, consigliati. Infatti tra le promesse iniziali vi era quella che il richiedente lavoro sarebbe stato seguito “personalmente” da consulenti che lo avrebbero supportato in ogni momento del percorso di ricerca o di formazione. Ad oggi di questa assistenza personale si sono perse le tracce, e sono rispuntate le lunghe code agli sportelli, la diffusa disinformazione e l’inadeguatezza a gestire situazioni comunque critiche come quelle dei disoccupati che vi si rivolgono. Nel progetto iniziale inoltre i Centri avrebbero dovuto avere consulenti specifici per i lavoratori stranieri, in grado anche di parlare più lingue. Anche di quest’ultimi spesso non pervengono notizie in merito alla loro esistenza negli uffici.

E ancora i dati più allarmanti: innanzitutto quelli che segnalano quante poche siano le aziende private che si rivolgono, ossia che si iscrivono ai data base dei Centri per la ricerca di figure professionali. Meno del 5% su scala nazionale. In teoria questo dato non sarebbe neppure così preoccupante se almeno i Centri avessero le risorse e la possibilità e le capacità di operare bene sui servizi di orientamento, sui tirocini, sulla formazione, la riqualificazione professionale, il recupero del cosiddetto drop out scolastico, la gestione degli ammortizzatori sociali e così via. Ma, ahinoi, anche in questi ambiti i risultati sono deludenti.

 Tutto qui? Neanche per sogno, perche in Italia il malfunzionamento organizzativo sembra spesso un pozzo senza fondo. Così questa storia ha una ciliegina sulla torta, se così si può dire per non lasciarsi prendere dallo sconforto. Quasi un terzo degli ottomila e cinquecento lavoratori dei Centri per l’Impiego sono precari! Dunque lavoratori a rischio che paradossalmente dovrebbero ottemperare al meglio al loro compito di assistere chi non trova o ha perso un lavoro. Consulenti dei Centri per l’Impiego con contratti di collaborazione, partite Iva, part-time suscettibili in qualsiasi momento di venire spediti dall’altra parte del vetro degli uffici. Tutto ciò è incomprensibile. L’Italia avrebbe estremo bisogno di Centri per il Lavoro che funzioni al 100% per 100% e non al 50. Occorre evidentemente una politica seria di investimenti su queste strutture, altrimenti destinate a trasformarsi in cattedrali nel deserto e burocrazia inefficiente e costosa. Oltretutto che fine farebbero i Centri se le province verranno abolite?

Domande a cui oggi è difficile trovare risposte convincenti, quelle risposte che alcuni disoccupati di Roma un lunedì di febbraio recatisi al Centro per L’Impiego di Cinecittà, zona sud-est della Capitale, non hanno ricevuto perché tale Centro lo hanno trovato chiuso per “Assemblea sindacale” dei lavoratori precari che in esso vi lavorano preoccupati, giustamente, per il proprio futuro.

Inconcepibile proseguire così.

 

 




Tags:




Ti potrebbero interessare

Speciali